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Masseria Acqua del Pioppo
Le fattorie e le masserie nate nel
medioevo, continuarono ad esistere fino agli inizi del novecento quando
cominciarono a subire un declino sempre più crescente per arrivare, in
molti casi, ad un totale decadimento come quello avvenuto alle masserie
di Risalaimi e Parco Vecchio.
Sono scomparsi i feudatari (baroni, conti e marchesi) che affidavano al
fattore o massaro, la organizzazione e la guida dell'azienda non
curandosi dei lavori agricoli e degli allevamenti di bestiame che
venivano affidati ai braccianti.
La masseria come si intendeva fino agli inizi del novecento non esiste
più, di tutte quelle che allora esistevano, se ne sono salvate
pochissime grazie ai proprietari che le hanno adeguate ai nuovi sistemi
di lavorazione e alle nuove esigenze.
La meccanizzazione agricola, la moderna zootecnia e i moderni impianti
di lavorazione, hanno ridotto di molto la manodopera. Oggi, bene o male
che vada l'andamento dell'azienda o grande o piccola che sia la sua
estensione, in genere, il proprietario ne è un operatore attivo.
Questo è quanto è successo a due fattorie dei dintorni di Marineo, una è
quella di Acqua del Pioppo e l'altra è quella di Rossella. Entrambe sono
state molto attive fino a quasi tutta la prima metà del novecento
impegnando diecine di contadini e braccianti.
La FATTORIA DI ACQUA DEL PIOPPO in territorio di Misilmeri, premiata
dalla provincia nel 1902 per la migliore produzione, oggi non è più la
stessa fattoria di cento anni fa. Nel suo territorio non esiste più il
vasto vigneto che produceva centinaia di ettolitri di vino; si è
notevolmente ridotto il gran numero di alberi di ulivo e quindi la
produzione di olio; non si coltivano più diciottomila (tanti erano)
alberi di frassino mannifero che produceva la manna; non si coltiva più
il sommacco che, una volta, dava una produzione di dieci mila Kg in un
anno; non esiste più l'agrumeto che occupava una notevole estensione di
terreno; non si produce più quella grande quantità di grano duro; non si
allevano più bovini e quindi niente latticini e non esiste più
l'allevamento di equini, indispensabili, una volta, per lo spostamento
nella vasta tenuta. Oggi il territorio della fattoria, tra riforma
agraria e vendite di vari appezzamenti di terreno a privati, si è
notevolmente ridimensionato rispetto a quello di un secolo fa e una
buona parte di terra, non viene più coltivata; il caseggiato per
l'allevamento del bestiame è in abbandono e la scuderia è adibita ad
altri usi.
La fattoria di Acqua del Pioppo, sita ad un paio di chilometri da
Marineo, è stata fondata nella seconda metà dell'ottocento dal Marchese
Pietro Ballesteros sul territorio che un secolo prima faceva parte del
Marchesato Mauro.
Nel periodo in cui il territorio di Marineo era gestito dal Marchese
Girolamo Pilo Dente (1742-1767), limitrofo territorio dove oggi si trova
la Fattoria di Acqua del Pioppo, era gestito dal messinese Marchese
Pietro Mauro sposato con Giuseppina Natale. Il primogenito Giuseppe
Mauro Natale che succede, senza l'investitura alla morte del padre,
sposa Caterina Brandiner e neanche il primogenito di questa coppia,
Pietro Mauro Brandiner, è stato investito del Marchesato Mauro, ma del
Marchesato di Villamauro in data 1 febbraio 1783, anno in cui il
Marchesato Mauro passò a Isidoro Balletreros o Ballesteros Barone di
Bongiordano, titolo che aveva avuto da Ferdinando IV, per privilegio, il
22 giugno 1773.
Isidoro era un discendente di una famiglia di origine spagnola. Era
stato un suo antenato di nome Pietro, capitano delle guardie, che da
Madrid, nel 1623, si era trasferito in Sicilia dove, da Filippo IV, era
stato nominato castellano della città di Augusta.
Isidoro Ballestreros era stato investito del titolo di Marchese di
Bongiordano, il 24 maggio 1773 e ottenne la comunicazione per lettera
patrimoniale il 14 marzo 1783, agli atti del Senato di Palermo del 15
febbraio 1783. Isidoro Ballestreros muore a Palermo il 19 settembre 1785
senza lasciare eredi.
Alla morte di Isidoro Ballestreros senza eredi, fu investito del
Marchesato di Bongiordano, il fratello Pietro Ballestreros che muore a
Palermo senza lasciare figli il 2 gennaio 1789. Dopo la morte di Pietro
Ballestreros, il 15 settembre 1798, fu investito del Marchesato di
Bongiordano, il fratello Giovanni Ballestreros che aveva sposato Ninfa
Federico figlia del Conte di Villalta il 5 giugno 1791. Il primogenito
di questa coppia, Antonino Ballestreros Federico Marchese di Bongiordano,
successe alla morte del padre. Sposò a 19 anni, Maria Wughingher da
Napoli di 20 anni figlia di Claudio e di Maria Antonia Greco. Sposò in
seconde nozze, il 14 giugno 1827, Rosaria Di Caro con la quale il 6
dicembre 1827 ebbe una figlia di nome Ninfa che sposò il Barone Turrisi
Nicolò il 9 settembre 1846 ed ereditò una parte di territorio del
Marchesato Bongiordano. Il Marchese Antonino Ballestreros sposò per la
terza volta, il 3 febbraio 1852, Giacoma Sciacula e ebbe un figlio
Pietro Ballestreros Sciacula che ha ereditato il marchesato di
Bongiordano dopo la morte del padre avvenuta a Palermo l'11 settembre
1857. Il Marchese Pietro sposò, il 25 aprile 1866, Raffaela Galbo di
Giovanni e di Rosalia Cusa Amari.
Il Marchese Antonino, aveva bonificato con vigneti, uliveti e agrumeti
soprattutto quella parte del territorio Bongiordano in riva al fiume
Eleutero, dove, vicino all'attuale ponte della fabbrica, aveva costruito
un caseggiato ancora esistente con due mulini ad acqua. Questa parte di
territorio sulle sponde del fiume, con il caseggiato e i mulini, è
quella che il Marchese Antonino aveva dato, in eredità, alla figlia
Ninfa l'anno in cui andò in sposa al Barone Turrisi. La parte rimastagli
era quella più vasta e più a monte confinante con la masseria di
Roccabianca, parte che, successivamente, è andata in eredità al figlio
Marchese Pietro.
Il Marchese Pietro Ballesteros, da quello che ancora oggi si può
constatare nell'attuale caseggiato della fattoria di Acqua del Pioppo e
dai registri di entrate e di uscite, era una persona molto attiva e
ricca di iniziative. Ha voluto realizzare una fattoria indipendente
riguardo a produzione e lavorazione. Quindi contemporaneamente alla
bonifica del territorio con le molte piantagioni di cui sopra accennate,
furono realizzati anche i laboratori attrezzati per la lavorazione
dell'uva, delle olive, del latte, della manna ecc. Soprattutto durante
il periodo della vendemmia e della raccolta delle olive (le maggiori
produzioni), la fattoria doveva essere un luogo molto animato perchè
impegnava manodopera proveniente non solo da Marineo ma anche da altri
paesi vicini come Bolognetta, Misilmeri e anche da Villabate.
Erano due le fasi della lavorazione dell'uva, prima veniva pigiata con i
piedi su un apposito piano in legno e depositata dentro grossi tini in
legno di castagno dal diametro di metri tre costruiti appositamente sul
luogo dove si trovano perché troppo pesanti e di dimensioni tali da non
potere passare dall'ingresso, e poi, dopo tre giorni di fermentazione
per le uve nere, due per quelle bianche e di colatura del mosto, gli
acini schiacciati con i piedi in precedenza, venivano messi nel torchio
per la spremitura definitiva. Il tutto veniva fatto con la forza delle
braccia e delle gambe dell'uomo. Il mosto ottenuto, attraverso una
conduttura, passava nelle botti delle cantine per la seconda
fermentazione che lo trasformava in vino.
Il vino di ottima qualità, noto in Sicilia e all'estero, veniva infatti
anche esportato, era imbottigliato sul posto e venduto con l'etichetta
della fattoria che portava lo stemma del Marchese Pietro.
Accanto alla tinàia si trova ancora una fornace che poteva contenere un
pentolone di m 1,70 di diametro per la cottura del mosto da miscelare
con quello delle botti per dare al vino un particolare aroma.
Anche la lavorazione delle olive aveva due fasi, prima venivano
schiacciate su un piano concavo con una grossa macina posta in verticale
(ancora visibile sul posto) che era fatta girare da un asino o mulo. La
pasta che si otteneva veniva messa dentro apposite tasche rotonde
(coffe) e veniva spremuta con le antiche presse a vite di legno azionate
a mano.
Buona parte di questa interessante e rara attrezzatura, è ancora
esistente e in buone condizioni. Potrebbe essere sistemata in un museo o
meglio lasciata sul posto nel suo ambiente come testimonianza del
passato.
Il caseggiato in buona parte si trova ancora in discrete condizioni, si
sviluppa attorno ad un cortile a forma di "L" e fu costruito in due
periodi diversi. L'ala di fronte all'ingresso, a due elevazioni, era un
corpo isolato preesistente, risulta da un rilevamento topografico
effettuato nel 1851 e si presume che esistesse già prima della divisione
del territorio fatto dal Marchese Antonino. Il Marchese Pietro, ha fatto
costruire in circa un decennio, le ali di destra e di sinistra e ha
chiuso il cortile nella parte anteriore con un muro, con il cancello e
con la torre a due elevazioni che fu ultimata nel 1896.
Il corpo preesistente con volta a botte scemata, fu adibito a residenza
del fattore e per la lavorazione della manna.
In fondo all'ala di sinistra si trova la tinàia grande, una delle prime
costruzioni fatte dal Marchese Pietro, realizzata attorno al 1885, dove
venivano lavorate l'uva e le olive. Era ed è ancora attrezzata con sette
tini di metri tre di diametro per la fermentazione dell'uva, con tre
torchi per la spremitura finale degli acini e con una pressa a vite di
legno per la spremitura della pasta di olive. In fondo alla tinaia, in
un ambiente separato, si trova la macina per schiacciare le olive, un
camino per riscaldare l'ambiente onde evitare il congelamento della
pasta di olive dalla quale, fredda, si estrarre meno olio e la caldaia
per la bollitura del mosto.
L'ala di destra che inizia dal centro del cortile, era adibita a
magazzino e a scuderia. Ancora si trovano sette Boxes per i cavalli e
una lunga mangiatoia. Sempre sulla destra nella parte estrema, si trova
la tinàia piccola dove c'erano quattro tini e i torchi e la cantina
grande seminterrata (oggi in parte crollata) che conteneva un buon
numero di botti in legno di cerro costruite, anche queste, sul posto per
il vino bianco. La capacità delle botti delle due cantine, la piccola e
la grande, era di cinquemila ettolitri.
In continuazione dell'ala di sinistra fino al cancello d'ingresso, è
stata costruita, a tre elevazioni e con volte a padiglione, la residenza
privata del Marchese. La costruzione è a forma rettangolare di m.26x10 e
fu realizzata in momenti diversi. Esternamente si conclude con un
cornicione aggettante formato da archetti ciechi e merli guelfi (in
mattoni di terracotta) che richiamano lo stile dei castelli medievali.
Internamente nel piano terra, a sinistra, si trova la cucina in muratura
con tanti fornelli e a destra un ambiente quadrangolare di metri cinque
di lato, adibito a cappella. L'altare era chiuso in un armadio che
veniva aperto in occasione della funzione religiosa. Nella parte
posteriore, sempre del piano terra, si trova la cantina piccola a forma
di "L" con le botti per il vino nero. Era in comunicazione con la tinàia
e questa con l'appartamento del Marchese il quale dalla sua residenza
privata poteva accedere sia nel frantoio che nella cantina. Il primo
piano era riservato agli uffici per l'amministrazione e il secondo piano
a soggiorno e a dormitorio, negli ambienti di quest'ultimo piano ci sono
ancora gli stessi gabinetti e lavandini dell'ottocento.
Nel 1896, accanto al cancello d'ingresso, è stata costruita la torre a
due elevazioni con le feritoie in tutte quattro le pareti. Era un
baluardo di difesa contro i briganti che in quel periodo vagavano nelle
campagne. Ha la forma di un parallelepipedo a sezione quadrata di m 4 di
lato e si conclude con un cornicione aggettante con merli che richiamano
lo stile di quello della costruzione precedente.
Le pareti degli edifici tranne quelle della residenza privata del
Marchese e quelle della torre, sono rivestite con un intonaco rosa e
bianco che steso a fasce verticali alternate danno all'ambiente un tono
allegro e armonioso. Non conosciamo il motivo per cui non sono state
intonacate anche le pareti delle ultime due costruzioni, forse perchè
sono state le ultime ad essere realizzate.
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