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Bosco Manca e Parco Vecchio
 

Su una delle pareti del cortile del Convento di Marineo si trova una lapide fatta collocare da Padre Giuseppe Tuzzolino negli anni sessanta. Ciò che la lapide riporta non ha niente a che fare con il Convento, è invece la chiave di lettura per entrare nella storia della Masseria di Parco Vecchio.
Secondo quanto riporta Padre Calderone che ne ha fatto una dettagliata descrizione, la lapide, è stata trovata nella Cappella della masseria nel 1875. Da allora se ne erano perdute le tracce. In realtà si trovava dimenticata nel convento di Marineo fino a quando Padre Giuseppe Tuzzolino che si interessava anche di archeologia (la Sovrintendenza di Palermo gli aveva affidato la zona archeologica della Montagnola), l'ha recuperata e applicata su una parete del cortile del convento.
La lapide ha la forma romboidale di 60 cm circa di lato, contiene l'anno 1476 e il nome dell'Abate Commendatario "Johannes De Lamatina" a cui nello stesso anno fu affidata la masseria. Inoltre la lapide riporta in basso lo stemma dell'Abate e in alto tre corone floreali (di cui una più grande) che dovrebbero simboleggiare le masserie della zona. La corona più grande si riferisce alla masseria di Parco Vecchio e le due più piccole dovrebbero riferirsi alle masserie di Piano del Re e di Turdiepi distanti tra loro solo pochi chilometri.
Mentre per la masseria di Risalaimi con la gestione dei privati cominciò il periodo della decadenza, per quella di Parco Vecchio con l'affidamento all'Abate De Lamatina iniziò il periodo di benessere. La masseria fu coinvolta in un forte incremento della popolazione e di conseguenza anche in una serie di ampliamenti dei fabbricati che la portarono ad una prosperità pari a quella di Risalaimi.
Abbiamo pochi riferimenti storici e poche testimonianze archeologiche per pensare ad un consistente insediamento nella zona prima del XV secolo. Le notizie storiche finora conosciute, iniziano dal periodo bizantino di cui abbiamo alcune tombe sparse e resti del villaggio "Kokena"; inoltre nel periodo normanno, la zona fu adibita a parco regio dal re Ruggero, nel 1182 fece parte del territorio di Monreale e fu donata ai monaci Cistercensi nel 1307.
Oltre alla lapide, alcuni elementi architettonici del XV secolo, indicano l'inizio dell'ampliamento e delle innovazioni nella masseria. Uno di questi è un arco scemato  che si può vedere solo dal lato interno del portale dell'ingresso principale perché dalla parte esterna, è coperto da una sovrapposizione di parete settecentesca con arco a tutto sesto. L'arco scemato è stato costruito con mattoni in terracotta di tipo rinascimentale ed è coevo ai monumenti Gotico-Catalano realizzati a Palermo da Matteo Carnelivari, dove l'elemento predominante è proprio l'arco scemato
Inoltre, a quanto pare, risale alla data della lapide la planimetria e l'attuale caseggiato del lato sud-est della masseria. Nel lato nord, oltre all'ingresso principale, si trova anche un modesto ambiente rettangolare, di metri 7,50 x 5,60 forse absidato, in origine e, sempre in origine, munito di piccole monofore di tipo romanico (di cui ancora oggi, su una parete, si intravedono alcune tracce) destinato al culto religioso. La CAPPELLA è situata sulla sinistra entrando dall'ingresso principale della masseria. In origine, il pavimento si trovava ad una quota più bassa, rispetto a quella odierna, e si accedeva dall'angolo nord-est esterno dell'attuale masseria. Le monofore romaniche, il pavimento più basso e l'accesso esterno, ci fanno intuire che la sua costruzione risale ad un periodo precedente alla ristrutturazione della masseria del 1476, più probabile al periodo normanno quando tutta la zona fu adibita a parco regio. Inoltre abbiamo la certezza che la cappella fu tutta affrescata durante la reggenza dell'Abate De Lamatina.
Finora non si sono trovate testimonianze scritte su quanto viene detto, la certezza ci viene data solo dallo stile degli elementi architettonici e decorativi che si possono ancora vedere in seno all'attuale complesso e ci fanno, inoltre, intuire che la masseria, in linea di massima, si sia formata nel XV secolo con l'abate commendatario, accanto alla isolata chiesetta che ha mantenuto lo stesso ingresso.
Come nella cappella di Risalaimi, anche in questa, le pareti furono ornate con scene delle quali oggi non è possibile scoprirne il numero, come non ci è possibile scoprire se fu affrescato anche l'abside o parete di fondo. Degli affreschi realizzati nelle pareti laterali, solo due particolari di cm 70x50 sono stati recuperati nel 1989; degli altri, la mano distruttiva dell'uomo, nella seconda metà del settecento, ha risparmiato solo dei frammenti che non ci permettono di ricomporre e di concepire neanche una delle scena affrescate nel XV secolo.
I due particolari recuperati raffigurano S.Giovanni e S.Bernardo a mezzo busto, ma a quanto pare in origine, i due Santi sono stati rappresentati per intero dentro nicchie dipinte, che dopo la menomazione del settecento, appaiono come lunette.
Non è escluso che l'Abbate, per affrescare la cappella, abbia profittato della presenza, nella zona, di Tommaso De Vigilia e dei suoi collaboratori impegnati, in quel periodo, ad affrescare la cappella di Risalaimi in quanto le figure di entrambe le cappelle risultano molto simili sia come stile che come maniera.
Parco Vecchio continuò a sussistere anche dopo il XV secolo, ciò si evince dagli ammodernamenti successivi che si evidenziano in una buona parte della masseria.
Sempre a quanto riporta Padre Calderone, la masseria ha cambiato gestione nel 1763 quando fu espropriata da Ferdinando di Borbone e nel 1799 quando passò in mano a privati. Sono di questi anni le innovazioni apportate sia nell'interno del cortile, nel caseggiato e nella Cappella, in quanto presentano elementi tardo barocchi e neoclassici.
Sul portale d'ingresso con l'arco scemato, dal lato esterno, fu sovrapposto un arco a tutto sesto. Entrando nel cortile a destra si può ancora notare che il muro di contenimento ha un andamento bizzarro con sporgenze curve di tipo barocco. Sul muro, in posizione arretrata, si articolano tre fabbricati con prospetti a cuspidi e con una scala barocca a due rampe.
La cappella, nell'interno, fu totalmente rimodernata, furono coperti gli affreschi e furono invertite le parti: dove prima c'era l'altare fu aperto l'ingresso sormontato da una finestra con arco a tutto sesto e la parete dove si trovava l'ingresso diventò un arco trionfale sostenuto da due pilastri (ancora visibili) di cm 70x50 addossati alle pareti, fu creato un modesto presbiterio di m 3,50 circa di lato sfruttando una piazzola che nel periodo normanno permetteva l'accesso alla cappella.
Naturalmente per modificare tutto ciò, dato il dislivello del terreno, fu necessario rialzare il pavimento della chiesa di un paio di metri, per portarlo alla stessa quota dell'ingresso e del cortile della masseria, e rialzando il pavimento fu necessario rialzare anche le pareti e la volta. Inoltre le monofore romaniche rimaste basse (accanto alle quali si trovarono le due figure staccate nel 1989), furono murate e aperte, più in alto, altre finestre ancora esistenti, più ampie, di forma quadrangolare.
Niente di strano che, se l'umidità non li ha del tutto deteriorati, nelle pareti della parte inferiore della cappella ricoperte dal materiale di riempimento, si trovano ancora gli affreschi quattrocenteschi. Bisognerebbe effettuare dei saggi per scoprire la verità.
Gli affreschi delle pareti laterali rimasti al disopra del nuovo pavimento, tranne le due figure recuperate, furono rovinati perché picconati come tutte le pareti per permettere una maggiore adesione al nuovo intonaco con cui fu rivestita la cappella. Sull'intonaco settecentesco furono dipinti gli affreschi, ancora visibili, che rievocano elementi barocchi e neoclassici.
Nel 1875 la cappella subì altre modifiche durante le quali fu scoperta la lapide che ora si trova sulla parete del convento di Marineo. Furono murati l'ingresso e la finestra soprastante (aperti nel settecento) davanti ai quali vennero edificati altri locali e l'ingresso della cappella fu aperto nel cortile.
Tali modifiche furono effettuate per adibire la cappella a fienile. Pochi decenni fa, a causa di un fulmine, si è incendiata e rimasta senza copertura fu abbandonata. Tutte queste modifiche, si possono constatare solo con un attento esame di tutte le varie parti decorativi e strutturali, interni ed esterni, del fabbricato.
Attualmente nella parete di fronte all'altare (sull'ingresso del settecento) si evidenziano tracce, con motivi ad andamento bizzarro, della sinopia di un affresco che faceva da contorno alla finestra.
Le pareti laterali presentano finestre vere e finestre dipinte e una decorazione ritmica alla base della volta formata da merletti con bioccoli pendenti. Le facce interne dei pilastri (e così doveva essere anche il sott'arco) dell'arco trionfale presentano, dentro cornici, festoni floreali.
La parete di fondo è decorata, sempre ad affresco, da due lesene doriche che dovevano racchiudere un dipinto sotto cui si trovava l'altare in marmo da anni demolito.
Fu nel mese di Marzo 1989 che abbiamo scoperto, nella cappella, le figure a mezzo busto di S.Giovanni e di S.Bernardo che si presentano con una disposizione ritmica simile a quella usata nella Cappella di Risalaimi per le Sante Siciliane, con la differenza che queste di Parco Vecchio, sono delle figure collocate, singolarmente dentro le nicchie racchiuse da cornici floreali.
Riguardo all'autore, nessuno esperto finora si è pronunziato, ma è probabile che negli affreschi ci sia la mano di Tommaso De Vigilia oppure quella di un collaboratore a lui molto vicino.
Dalla Soprintendenza ai Beni Culturali di Palermo, ci avevano promesso che dopo il restauro gli affreschi sarebbero ritornati a Marineo, ma da allora non è ancora arrivata alcuna risposta nonostante sia stata fatta regolare richiesta. Forse ritorneranno solo quando a Marineo, il Palazzo Beccadelliano, ospiterà il Museo Civico dove troveranno una giusta collocazione assieme ai reperti archeologici e a altre opere del nostro ambiente.
La figura di S.BERNARDO dentro la lunetta che in origine era una nicchia dipinta, è fornita di aureola con decorazioni floreali simili a quelle riscontrate nelle Sante Siciliane di Risalaimi. Il giovanile volto tondeggiante, è contornato da linee moderatamente incise che delimitano i vari elementi compositivi accentuando gli effetti chiaroscurali che sono appena accennati. L'immagine rivela una espressione patetica accentuata dalla disposizione delle labbra, dagli occhi languidi e dalla posizione inclinata della testa sulla quale si evidenzia un'ampia tonsura.
Dal saio, dall'ampia tonsura e dalla simbologia dipinta, si presume che si tratta del S.Bernardo della Valle d'Aosta, predicatore, vissuto nel XI secolo e morto nel 1081. Fu proclamato patrono degli alpinisti e dei viandanti della montagna e questo potrebbe essere un motivo per cui è stato rappresentato nella cappella di Parco Vecchio che si trova in montagna. Dal Santo discende il nome dei famosi cani sanbernardo che, tra le montagne innevate con la piccola botte di liquore legata al collo aiutano gli uomini a ritrovare persone sepolte nella neve.
Diversa appare invece la figura di S.GIOVANNI Battista che, vestito con pelli di animali, ha dimorato nel deserto. E' riconoscibile dalle vesti indossate e dai simboli cristologici (inerenti al Battista) che stanno sulla sua sinistra all'estremità del bastone crociato: agnello e vessillo crociato svolazzante con gli angoli allungati. Il Santo ha i capelli non a coronamento del capo come quelli di S.Bernardo, ma che cadono dalla testa con andamento frastagliato inquadrando il volto sereno e allungato del Santo che ha baffi e barba nera. Il tutto è racchiuso in una vistosa aureola che non presenta decorazione.
Entrambi le figure sono evidenziate da netti contrasti di colore che mirano ad evidenziare gli elementi compositivi mediante l'alternanza. Sono presenti in S.Giovanni, elementi simili a quelli del volto di S.Nicolò di Bari di Tommaso De Vigilia che si trova nella galleria Nazionale di Palermo.
La scoperta degli affreschi della cappella di Parco Vecchio, è un avvenimento eccezionale per il territorio marinese, come fu eccezionale la scoperta degli affreschi della cappella di Risalaimi, un avvenimento da non sottovalutare in quanto accresce ulteriormente la posizione del territorio nel campo pittorico provinciale.
Tutta l'alta valle dell'Eleutero con il fertile terreno, la ricchezza di acqua e la ricca coltivazione di alberi da frutta e di ulivi, doveva essere, all'epoca, un ambiente frequentato e ricco di interesse non solo per tutto ciò che si ricavava dalla coltivazione della terra, ma anche per le attività culturali e per la bellezza estetica, come viene testimoniato dai contenuti della lapide del 1476 e dalla presenza dei più valenti artisti palermitani del momento che hanno operato nelle due Cappelle di Parco Vecchio e di Risalaimi.
I gestori di questi territori, erano delle persone raffinate che amavano la cultura e tenevano molto al prestigio. La loro ambizione ha generato un importante momento storico-artistico, a dimostrare che la cultura della capitale del XV secolo è arrivata anche nel nostro territorio e questo grazie ai Teutonici e agli Abati Commendatari che hanno incoraggiato e favorito il sorgere di centri di interesse.
 

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