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La chiesa di S.Maria, per le sue modeste
dimensioni, non era sufficiente per potere accogliere i fedeli sempre
più numerosi. Di questo il Marchese Gilberto se ne era reso conto subito
dopo la edificazione del monastero e, mentre si costruivano le case e il
palazzo, pensò anche alla edificazione della nuova Matrice che fu eretta
in periferia in un punto pianeggiante che meglio si prestava ad una così
vasta costruzione. La chiesa fu dedicata a S.Giorgio e poi, nel 1665 a
S.Ciro.
Il Marchese Gilberto Beccadelli si impegnò al massimo in quest'opera e
nel costruirla, non solo pensò alle esigenze della popolazione del suo
tempo, ma anche a quelle delle future generazioni, infatti, ancora oggi,
per quanto riguarda le dimensioni e quindi la capienza, la Matrice è
sufficientemente capace.
Ha voluto realizzare qualcosa di grande in perfetta coerenza con i
canoni della corrente artistica del suo tempo. Ha impegnato le
maestranze e gli architetti più rappresentativi a disposizione
nell'ambiente per creare un'opera con caratteristiche tardo
rinascimentali mantenute fino agli inizi del XIX secolo quando fu
trasformata nelle attuali forme che richiamano quelle neoclassiche e
tardo settecentesche. Nonostante tutto, la Matrice, rimane sempre il
monumento esteticamente e artisticamente più valido di tutto il paese.
La slanciata volta a botte; le robuste colonne monolitiche cavate dalla
viva roccia, probabilmente di Rocca Busambra; gli archi poggianti sulle
colonne; la pianta a croce latina; l'ampiezza della chiesa che, oggi, ha
una cubatura di 4518 metri, una superficie di 490 metri quadri con la
navata centrale di metri 56x6,50; le tre navate; le volte a crociera
delle navate laterali e l'abside; tutti elementi visibili in origine, ci
fanno capire che il massimo monumento religioso e architettonico di
Marineo, si inseriva perfettamente nel contesto artistico
cinquecentesco. Ma la sovrapposizione degli elementi di stile diverso
avvenuta nella prima metà dell'ottocento, purtroppo, ha degradato in
modo irreversibile l'artistico monumento.
La storia della nuova Matrice di Marineo oggi si presenta piuttosto
complessa e non semplice da ricostruire per il fatto che molto poco è
stato documentato sul susseguirsi delle varie modifiche, interne ed
esterne, effettuate nei secoli successivi alla sua edificazione. Per il
momento la documentazione su cui si può attingere e da cui si può avere
un certo quadro storico e cronologico della costruzione, ci viene
presentata proprio dalla stessa opera nella sovrapposizione degli
elementi architettonici e decorativi di vari stili ben visibili in tutto
l'ambiente interno. La sola notizia storica dell'archivio parrocchiale
riguardante la Matrice, possiamo trovarla nel registro in cui sono
registrati battesimi e matrimoni, a cominciare dal 1562, venivano
celebrati nella chiesa di S.Giorgio e non più in quella di S.Maria.
Della primitiva configurazione strutturale cinquecentesca, ultimata nel
1562, si vede ben poco. Originariamente la chiesa aveva un aspetto
completamente diverso da quello odierno. Ma prima di parlare di questo,
esaminiamone le odierne principali caratteristiche.
La Matrice sorge su un basamento rialzato adibito, in parte, a
catacomba. La sua forma esterna è molto comune: tre navate (di cui
quella centrale più alta) con copertura a spioventi ed il campanile
sormontato da una piccola cupola. Sulle coperture delle navate laterali,
in corrispondenza delle estremità superiori delle campate, poggiano dei
robusti contrafforti ad arco rovesciato aderenti alla copertura delle
navate laterali e alle pareti esterne della navata centrale, la loro
funzione è quella di contenere la spinta laterale della volta.
Il prospetto principale a "salienti" con una impostazione tardo
cinquecentesca, è suddiviso (in senso verticale) da due zone
sovrapposte, decorate entrambe da coppie di lesene neoclassiche
scanalate a spigolo smussato con capitelli ionici (quelli della zona
inferiore) e corinzi (quelli della zona superiore). Questa ultima zona,
innalzata sulla parte centrale di quella sottostante, si conclude con un
frontone che racchiude, nel timpano, la corona con le palme: simbolo del
martirio di S.Ciro.
Nel prospetto laterale, dal lato del Corso dei Mille, si può vedere la
copia della barocca CERAMICA DI S.CIRO di m.2,10x4,20 circa realizzata a
Palermo nella prima metà del settecento da autori ignoti.
Nel XVIII secolo, oltre a dei valenti marmorari che hanno arricchito di
decorazioni a rilievo e ad intarsio chiese e palazzi, a Palermo e in
altre città siciliane come Caltagirone e Trapani, hanno operato anche
valenti ceramisti autori di una vasta produzione di piatti, vasi di
varie forme per molteplici usi (numerosi sono quelli eseguiti per le
farmacie come contenitori di farmaci) e mattonelle con semplici
decorazioni floreali e geometriche, istoriate e figurate per rivestire
pavimenti o pareti come nel nostro caso.
L'opera di Marineo è composta da mattonelle quadrate di cm 20x20 circa e
raffigura il Santo che regge un libro nella mano destra e nella
sinistra, poggiata sul petto, la palma. La statica figura che si erge su
un piedistallo, è rappresentata in posizione di riposo con la gamba
destra piegata ed è vestita da un doppio panneggio formato da una veste
che arriva all'altezza delle cosce e da un mantello che avvolge parte
della figura soprattutto dal lato destro. Ai piedi porta leggere
calzature di foggia romana. S.Ciro è collocato dentro una nicchia
coronata da un arco a tutto sesto e fiancheggiata da due stipiti
decorati da lesene e da motivi floreali.
Nella parte inferiore, incorniciata da motivi decorativi barocchi, c'è
una lapide rettangolare su cui si legge: "Divo Ciro egregio martire di
Cristo patrono dei Marinesi".
Al disopra della nicchia, fiancheggiata da putti alati, si trova una
bizzarra decorazione formata da elementi tipicamente barocchi che
rispecchiano in pieno lo stile del tempo riscontrabili anche nel coevo
altare, del medesimo Santo, collocato all'interno della chiesa, alle
spalle della ceramica.
La prevalenza degli elementi architettonici, nello spazio attorno alla
figura del Santo, rivela (nella fase di progettazione dell'opera)
l'intervento di un architetto che ha curato il disegno. Fino a questo
momento, riguardo agli autori, non si sono trovati elementi che ci
possono permettere una giusta attribuzione, una ipotesi, alquanto
discutibile, è stata avanzata solo per quanto riguarda l'esecutore delle
mattonelle.
Come tutte le opere d'arte poste all'esterno, anche questa, dopo quasi
tre secoli dalla sua realizzazione, è stata colpita dall'inquinamento:
il cancro, da tempo, aveva attaccato le mattonelle provocando lo stacco
dello smalto. Il fenomeno che negli anni ottanta del novecento era agli
inizi, nell'anno 2000 si trovava in una fase avanzata, le piccole
chiazze di colore mancante si erano allargate e senza un idoneo
intervento, in breve tempo, sarebbero diventate sempre più grandi e
avrebbero invaso tutta la ceramica. Oltre allo stacco dello smalto si
era presentato anche il dissestamento delle mattonelle con il rischio di
staccarsi dalla parete e frantumarsi a terra. Finalmente dopo vari
appelli, dopo l'interessamento delle Amministrazioni Spataro e Pernice
prima, e Corrado dopo e con il finanziamento della Regione, nel mese di
agosto dell'anno 2000, sono state staccate le mattonelle in ceramica per
essere restaurate. Era stato accolto anche il suggerimento avanzato
sulla prima edizione del presente volume del 1998, di applicare, al
posto della ceramica del settecento, una copia (già collocata nello
stesso mese di agosto) della medesima e sistemare, l'originale, in un
luogo riparato. Purtroppo nel maggio del 2001, è stata staccata la copia
e ricollocata la ceramica originale restaurata, decisione che certamente
non è stata quella più conveniente per la buona conservazione
dell’opera.
Accanto alla ceramica trovasi un ingresso per accedere agli uffici
parrocchiali, la porta è stata aperta dall'arciprete Inglima agli inizi
del nostro secolo. Si presume che l'attuale scala sia stata realizzata
ampliando una preesistente scaletta interna che conduceva nella zona
catacombale.
Internamente la Matrice ha una pianta a croce latina con tre navate, sei
campate e il transetto. La navata centrale, limitata da pilastri, è più
alta delle due laterali ed è coperta da una volta a botte con arco a
tutto sesto poggiante su un cornicione aggettante cinquecentesco con
semplici beccatelli. La volta ha un accentuato slancio verticale dovuto
al prolungamento delle sue basi verso il cornicione, ed è decorata da
tre file di pannelli a stucchi con motivi floreali racchiusi da doppia
cornice con ovuli. I pannelli delle due file laterali di forma
rettangolare, presentano tutti lo stesso motivo decorativo, mentre
quelli della fila centrale di forma quadrangolare, presentano motivi
diversi l'uno dall'altro.
I pannelli, dentro lo spazio rettangolare delle campate, sono
raggruppati a tre a tre formando, lungo la superficie della volta, varie
terne che sono separate da fasce (con file di rosette) che, estendendosi
da una base all'altra della volta, racchiudono anche le finestre dalle
quali filtra la quantità di luce sufficiente per esaltare in modo
perfetto la qualità degli stucchi dorati.
Gli stucchi della volta centrale compresa la raggiera della parete di
fondo, tranne quelli della cupola, sono stati realizzati e applicati da
Francesco Grasso di Marineo tra il 1860 e il 1870.
Le campate delle navate laterali sono coperte da ampi cassettoni
quadrangolari che racchiudono pannelli anch'essi quadrangolari ma di
dimensioni più ridotte. I pannelli racchiudono stucchi fatti ad
imitazione di quelli della volta centrale e presentano motivi decorativi
diversi l'uno dall'altro. Tutti gli stucchi delle navate laterali
compresi quelli delle cappelle, sono stati realizzati e applicati da
Domenico Guarino di Campofelice di Fitalia (scolaro di Antonino
Cangialosi genero di Francesco Grasso), tra il 1923 e il 1927.
Nell'incrocio della navata centrale e di quella trasversale, vi è la
cupola visibile solo dall'interno della chiesa. Si presenta priva di
lanterna, con calotta e uno stretto tamburo dove si legge in latino:
"Chi violerà il tempio del Signore sarà da Lui disperso." La calotta è
decorata con riquadri a stucco disposti simmetricamente, ognuno dei
quali racchiude un motivo floreale. I riquadri sono stati applicati da
un nipote di Francesco Grasso, Domenico Cangialosi figlio di Antonino,
lo stesso che con gli stessi motivi ha decorato il catino absidale della
cappella del S.Cuore demolita nel 1963 quando tutta la cappella fu
spostata più avanti nella posizione attuale. E' stata realizzata da
Domenico Cangialosi anche la raggiera che si trova nella nicchia del
fonte battesimale.
Sui quattro pennacchi che collegano la cupola ai pilastri principali,
nella seconda metà dell'ottocento, da autore sconosciuto, sono state
affrescate le figure dei quattro Evangelisti con i rispettivi simboli.
Buone le composizioni delle figure di stile neoclassico che bene si
inseriscono nelle forme triangolari dei pennacchi.
Nella prima campata della navata centrale dopo la cupola, si trovano,
lateralmente (dove attualmente sono collocate le canne dell'organo), due
matronei con volta a crociera e archi a tutto sesto che si affacciano
nella navata. Uno, quello di sinistra, è ancora intatto grazie al fatto
che ospita le canne dell'organo fatto collocare da Mons.Raineri agli
inizi degli anni trenta del novecento. Dell'altro, è rimasto solo l'arco
a tutto sesto visibile dalla navata.
I matronei erano dei vani della chiesa destinati alla nobiltà che anche
durante le funzioni religiose non gradiva mescolarsi con il popolo. In
realtà questi piccoli ambienti furono usati nelle prime chiese cristiane
e generalmente venivano riservati alle donne. Nel XVI secolo quando fu
costruita questa chiesa, erano già fuori moda e quelli che venivano
realizzati, erano ridotti e avevano una funzione semplicemente
decorativa come quelli che troviamo nella chiesa del Collegio. A quanto
pare, però, dalla la loro dimensione e posizione, i matronei della
matrice, erano funzionanti e utilizzati per assistere alle sacre
liturgie.
La navata centrale, oggi, è suddivisa in sei campate, originariamente
era composta da cinque: quattro dall'ingresso alla navata trasversale e
una oltre che racchiudeva il presbiterio con l'altare maggiore e
l'abside. Nella prima metà dell'ottocento, l'aggiunta della sesta
campata a prolungamento del presbiterio, ha creato una certa disarmonia
nell'estetica della composizione interna della costruzione, ma ha esteso
la navata aumentando la capienza della chiesa.
Della modifica non esistono documenti scritti, ci viene rivelata solo
dai vari elementi decorativi e architettonici visibili nell'interno
della chiesa: nella volta centrale si notano quattro fasce rettangolari
sporgenti poste trasversalmente che fanno parte della struttura portante
e quindi nate con essa. Una fascia la troviamo sull'ingresso principale
(anche se è poco evidente per la sovrapposizione della successiva
decorazione), due delimitano la cupola e un'altra tra la cupola e la
parete di fondo. Secondo la disposizione questa ultima fascia chiudeva,
in origine, la navata centrale.
Inoltre la modifica si è notata anche quando Mons.Raineri ha fatto
erigere nel 1967, in seguito alle nuove disposizioni liturgiche del
Concilio Vaticano II del 1962, il nuovo altare centrale. Durante gli
scavi, per rifare tutto il pavimento della chiesa (secondo le
informazioni raccolte), sono venuti alla luce, proprio in corrispondenza
della fascia rettangolare che delimita la prima campata dopo la cupola,
resti di un consistente muro con abside che originariamente doveva
arrivare alla volta delimitando così da questo lato la navata centrale.
E ancora c'è da notare che i tiranti in ferro collocati durante la
costruzione della chiesa, si trovano solo nella parte della volta
originaria.
A supporto di questa tesi c'è anche la presenza dei matronei la cui
posizione doveva essere in un punto da dove comodamente si poteva
assistere alle sacre liturgie.
Riguardo alle altre modifiche presenti nell'interno della chiesa,
dobbiamo prendere in considerazione due fattori essenziali: la presenza
di elementi tardo settecenteschi e neoclassici nella composizione
cinquecentesca della struttura e la frana dell'anno 1800 che ha
distrutto la chiesa di S.Antonio Abate e buona parte del quartiere a
questo Santo dedicato.
Dietro questa dolorosa esperienza, anche se la chiesa non ha mai subito
danni per calamità naturali, i marinesi hanno pensato ugualmente di
salvaguardare il più importante monumento religioso del paese
consolidandone le strutture portanti verticali e orizzontali della
navata centrale. Nelle navate laterali, invece, per conformità di stile,
i lavori furono solo di carattere estetico e quindi sono state coperte
le crociere.
E' questo il motivo per cui oggi, come elementi di sostegno, troviamo
massicci pilastri e architravi, ma al loro posto, in origine, si
trovavano colonne e archi a tutto sesto.
La certezza di questa affermazione ci viene data da due fonti
ineccepibili: l'opuscolo sulla festa di S.Ciro e i lavori di restauro
del 1992.
Nell'opuscolo sulla festa di S.Ciro, conservato nella biblioteca
comunale di Palermo, fatto stampare dalla Congregazione nel 1746, si
legge che nella chiesa, allora erano visibili archi e colonne.
Nel 1992 scrostando la parte inferiore di una faccia di uno dei pilastri
della navata laterale di destra, è venuta alla luce la estremità
inferiore di una colonna monolitica di ordine tuscanico, di colore
avorio, proveniente, probabilmente, dalle cave di Rocca Busambra e
poggiante su un basamento cubico anche monolitico di cm.80 di base per
50 di altezza. La robusta colonna realizzata nel Cinquecento, è fornita
di base con tori e trochilo (Fig.42).
I restauri ci hanno rivelato anche la poca delicatezza usata
nell'imprigionare la colonna dentro gli attuali pilastri: per ridurre di
pochi centimetri le dimensioni del pilastro, i nostri predecessori,
hanno scheggiato con lo scalpello parte della superficie della colonna
riducendone il volume e interrompendone la circonferenza. Trattamento
che forse hanno subito anche le altre colonne, per averne la certezza,
si dovrebbero effettuare dei saggi.
Inoltre, sempre durante gli stessi lavori di restauro, è venuta alla
luce una nicchia di cm 80 x 80 e 180 circa di altezza, coronata da un
arco molto scemato fatto con mattoni in terracotta del tipo di quelli
usati nel periodo rinascimentale.
La nicchia contiene una vasca a forma rettangolare di cm 80 x 55 x 15,
in pietra rossa proveniente, sembra, dalla zona del lato est di Rocca
Busambra. La vasca presenta: sul bordo superiore, delle decorazioni
lineari incise; al centro, un buco dal diametro di 13 cm circa collegato
con un tubo in terracotta che scarica in una condotta e nell'angolo
sinistro, un secondo buco più piccolo del precedente.
Enigmatica si presenta la comprensione di tale elemento. Dalle
decorazioni incise si evince che la vasca è stata realizzata nel tardo
cinquecento e per dimensioni poteva essere adibita sia come
acquasantiera che come fonte battesimale, i due fori al centro e
all'angolo, considerando il modo rozzo e rudimentale della manifattura,
sono stati aperti in un periodo successivo; la nicchia, forse è stata
murata durante i lavori di modifiche della chiesa nella prima metà
dell'ottocento; per cui la vasca, era un elemento funzionante prima del
1800. Ci si chiede: A che cosa serviva tale vasca in una nicchia
all'ingresso laterale della chiesa?
Data la conformazione ristretta e incavata della nicchia, la vasca non
poteva essere usata come fonte battesimale e con lo scarico e il buco
nell'angolo, non poteva neanche essere usata come acquasantiera. C'è da
dire però che come detto, i buchi sono stati praticati in epoca
successiva alla sua realizzazione e pertanto si può ipotizzare che in
origine, la vasca veniva adoperata come acquasantiera all'ingresso
laterale della chiesa dato che, esattamente nel lato opposto, esisteva
un'altra nicchia identica, con la stessa funzione, trasformata ad
ingresso, nel secolo scorso quando fu realizzato il terrazzino esterno
dal lato del Corso dei Mille. Dopo l'apertura dei buchi, la vasca,
potrebbe essere stata usata come lavandino. Le due acquasantiere
attuali, sono di stile neoclassico e quindi collocate nella seconda metà
dell'ottocento dopo le modifiche.
La scoperta della colonna e della nicchia con la vasca nel 1992, si è
rivelata di un certo interesse per la conoscenza del curriculum storico
del nostro paese, ma soprattutto ha contribuito a farci meglio
comprendere come era la chiesa fatta costruire da Gilberto Beccadelli e
ci ha rivelato anche due situazioni contrastanti del nostro passato: da
una parte, la delicatezza e la cura dei nostri antenati del cinquecento
nell'edificare la nuova Matrice con le colonne cavate dalla viva roccia
e trasportate con grande fatica a Marineo e dall'altra, il
danneggiamento irreversibile di tali elementi di sostegno, da parte dei
nostri predecessori dell'ottocento.
Nella copertura delle navate laterali oggi si trovano ampi cassettoni
quadrangolari della stessa ampiezza delle rispettive campate; in origine
si vedevano le crociere (elementi portanti assieme agli archi) come oggi
possiamo ancora vedere nella volta di uno dei matronei non ancora
manomesso, la copertura del matroneo non è altro che una parte della
copertura della corrispondente navata laterale. A rivelarci la presenza
delle crociere sono anche i tiranti in ferro che affiorano dagli
architravi che congiungono i pilastri alle pareti.
I tiranti posti alla base della volta centrale, hanno una loro funzione
ben precisa: servono ad evitare che la volta con il suo peso si possa
aprire e spingere le pareti verso l'esterno; gli stessi elementi posti
sotto gli architravi, come nelle navate laterali, non hanno nessuna
funzione. Ciò significa che gli elementi in ferro delle navate laterali,
non fanno parte degli attuali architravi che sono fittizi, ma degli
archi che sostengono le crociere che oggi sono nascosti dai cassettoni.
Da quanto detto possiamo ben capire che la chiesa in origine era
completamente diversa da quella odierna: con colonne al posto di
pilastri, con archi al posto di architravi, con crociere al posto di
cassettoni e con abside in fondo alla navata centrale. Per la prima
volta, in base alle poche notizie storiche e agli elementi strutturali e
decorativi esistenti, si è cercato di fare una ricostruzione grafica
della Matrice Beccadelliana così come è stata ultimata nella seconda
metà del XVI secolo.
Riguardo alle modifiche effettuate nell'interno della chiesa, come detto
in precedenza, non esiste una documentazione da cui si possono ricavare
cause, date e ordine; per cui, per saperne di più, oltre ad esaminare i
vari elementi decorativi e strutturali della chiesa, dobbiamo anche
scrutare nella storia della parrocchia.
Se la decorazione a stucco della volta, come si apprende dalle
didascalie sotto i ritratti dei Parroci, è stata fatta nel decennio
1860-70, vuol dire che a questa data la chiesa era stata già prolungata.
Infatti in tutta la decorazione della volta esiste una unità nella
maniera e nella esecuzione da farci intuire che è stato unico l'ideatore
e unico il periodo di realizzazione.
La causa invece dell'ampliamento del presbiterio, è da ricercare
nell'elevato numero di sacerdoti del tempo. Il censimento del 1748, ne
registrava sessanta a Marineo. I lavori di ampliamento, a quanto pare,
iniziarono in occasione del consolidamento della chiesa dopo la frana
dell'anno 1800 e di seguito furono anche effettuati i lavori di modifica
di tutto l'interno per uniformare tutta la chiesa ad un unico stile che
alla fine è risultato completamente diverso da quello originario.
L'ultima opera di modifica più consistente è stata la copertura delle
crociere delle navate laterali.
Sappiamo inoltre, sempre attraverso le didascalie, che i Parroci che
fecero eseguire più lavori nella chiesa furono: Mons. Ignazio Valenti
dal 1808 al 1837; Mons. Emanuele Arcoleo dal 1840 al 1866 e Mons. Andrea
Oliva dal 1866 al 1873. Dietro interessamento di quest'ultimo, furono
ultimati gli stucchi della volta centrale.
Dopo le modifiche sono stati realizzati, in stile neoclassico,
l'arredamento del presbiterio formato da due file di stalli per lato
con, a destra, il sedile principale ancora esistente; il pulpito
addossato al pilastro principale di destra e le transenne in marmo
bianco e verde che separavano il presbiterio dal resto della navata
centrale. Tutti elementi che fino al 1955 esistevano ancora Fu Mons.
Raineri che, per meglio raccogliere i giovani delle varie associazioni
dentro il presbiterio, li fece togliere.
Oltre al sedile principale di destra, dell'arredamento del presbiterio,
oggi restano: i due pannelli in legno ancora ancorati alle pareti;
qualche sedile che troviamo al Convento; l'altare maggiore nella parete
di fondo in marmo verde e rosso con un rilievo sulla cena di Emmaus nel
paliotto e il grande Crocefisso in legno del tardo settecento, dipinto
nel secolo successivo, collocato nella parete di fondo sull'altare.
Anche il prospetto principale ha subito un primo rimaneggiamento
nell'ottocento, presenta gli stessi elementi neoclassici dell'interno.
Con le modifiche e le aggiunzioni, oggi, la chiesa non si presenta con
le stesse proporzioni armoniose del XVI secolo, ma neanche con un
aspetto sgradevole, a parte i massicci pilastri che appesantiscono e
contrastano con l'insieme, troviamo una decorazione a stucco di un certo
valore soprattutto quella della volta centrale. Stucchi che forse pochi
marinesi riescono ad apprezzare, non per mancanza di capacità di
percezione, ma perché li abbiamo visti fin da piccoli e continuiamo a
vederli alla stessa maniera, con indifferenza, anche da grandi. Non c'è
mai stato, con gli stucchi, quel primo impatto capace di suscitare delle
emozioni, cosa che, ad esempio, succede ai turisti che vedono la chiesa
per la prima volta.
Per capirne veramente il valore, dovremmo osservarli come se fosse la
prima volta. Notare i particolari e tutti quei motivi floreali e
geometrici che ci ricordano quelli dello stile Arabesco e quelli dello
stile Liberty (stile, quest'ultimo, che si affermerà qualche decennio
più tardi) con qualche reminiscenza Rococò. Si presentano con eleganza e
raffinatezza di movimenti e si articolano con grazia dentro le
inquadrature delle cornici formando delle composizioni ben definite e
ben equilibrate.
I riquadri del soffitto delle navate laterali furono realizzati con lo
stesso carattere di quelli della volta centrale, ma non presentano la
stessa eleganza e la stessa sintesi, in realtà sono più grossolani, più
massicci, meno aggraziati e compositivamente più pesanti. E' chiaro
quindi che questi pannelli come gli stucchi delle cappelle, delle
navate, dei pilastri e del presbiterio, sono di mano diversa, infatti
sono stati eseguiti e applicati da Domenico Guarino per interessamento
di Mons.Raineri tra il 1923 e il 1927, periodo in cui, con gli stucchi
della cupola realizzati da Domenico Cangialosi, tutta la decorazione
della chiesa fu definita e poi, da Marco Spinella di Marineo, colorata
con colori a tempera e indorata con l'applicazione di sottili lamine
d'oro.
E' certo che sia Francesco Grasso che Domenico Guarino e Domenico
Cangialosi, nel realizzare gli stucchi della Matrice, si sono ispirati a
quelli della chiesa di S.Michele, realizzati attorno alla metà
dell'ottocento e a quelli della chiesa di Tagliavia, realizzati da
G.Battista Noto nel 1844. Evidenti sono i legami tra gli elementi
decorativi delle tre chiese.
A conclusione dei lavori, due lapidi in marmo (non più esistenti) che
erano poste tra le canne dell'organo e i pilastri principali,
ricordavano: una la conclusione dei lavori e "lo splendore degli stucchi
dorati, scintillanti dai riflessi delle lampadine elettriche appena
collocate" e l'altra, il finanziamento per i lavori di restauro e di
doratura degli stucchi da parte dei Marinesi emigrati in America e che
la raccolta dei fondi fu curata dai Signori Oliva e Briganti.
Secondo informazioni raccolte, le lapidi rovesciate e con altre
iscrizioni, oggi, sono applicate ai lati dell'ingresso principale della
chiesa.
In genere, nel costruire un tempio, luogo di preghiera, la prima
considerazione che viene fatta è quella di concepire un ambiente
semplice e armonioso che possa suscita serenità e raccoglimento per
favorire la comunicazione dell'orante con Dio.
Tale si presentava la Matrice in origine quando tutti gli elementi,
componenti l'opera, rispecchiavano il carattere di un unico stile.
Nel corso dei secoli a cominciare dalla collocazione dell'altare di
S.Ciro, in stile barocco, nel transetto sinistro, l'armonia
dell'ambiente cominciò ad essere turbata e la situazione si aggravò
maggiormente quando, a causa della frana, anche se non necessarie perché
la chiesa non è stata mai danneggiata da fenomeni naturali, vengono
inserite le fredde sagome squadrate a forma di parallelepipedo che
separano le navate. Infatti subito dopo, notata la forte discordanza tra
gli elementi architettonici, i nostri predecessori hanno cercato di
attenuare la disarmonia modificando tutto l'interno e cercando di
armonizzare l'ambiente mediante la decorazione a stucchi.
Intento riuscito solo in parte in quanto resta sempre l'accavallamento
dei vari stili che, anche se non si disturbano eccessivamente, non
raggiungono nemmeno l'armonia originaria.
Per soddisfare esigenze più o meno giustificate, anche nei periodi
successivi a questi eventi, la chiesa ha subito modifiche. Mons. Raineri
aveva una particolare attenzione per il "Tempio di Dio" come Lui stesso
definiva la Matrice, per essa ha fatto molto, ma non tutte le operazioni
che ha effettuato nella chiesa avevano il fine di armonizzare e
conservare quello che nella chiesa esisteva, più che altro il suo
intento mirava ad un fatto logistico oltre che alle varie riparazioni
necessarie della chiesa. Il pulpito, il coro e la cappella del Sacro
Cuore, sono stati rimossi durante la sua gestione.
Dopo le nuove disposizioni del Concilio Vaticano II, nel 1967, oltre a
rifare tutto il pavimento della chiesa, Mons. Raineri aveva fatto
collocare, al centro della navata, il nuovo altare centrale, la cui
mensa era sostenuta da otto colonnine di marmo rosso. Non era un'opera
d'arte, ma, dal punto di vista estetico, non disturbava l'ambiente. Al
contrario gli attuali elementi introdotti nel giugno del 1994 in
sostituzione dei precedenti, fanno parte a se e non si coordinano con
l'insieme, ma quello che maggiormente turba l'ambiente è l'elemento
cromatico e il leggio. Anche il rilievo tardo barocco applicato nel
paliotto contrasta con la modernità degli elementi compositivi
dell'altare. Scultura, questa, che si rivela di una certa importanza,
rappresenta la CENA DI EMMAUS dentro una cornice spezzata, intarsiata
con marmi policromi e decorata, in basso, da rilievi con motivi rococò.
L'insieme delle tre figure, richiamano la classica composizione
rettangolare delle cene di Emmaus di vari autori: le due figure degli
apostoli ai margini laterali del tavolo e Cristo al centro. Il momento
rappresentato, è quello in cui avviene la benedizione del pane. E'
un'opera di buona fattura del settecento e presenta determinati elementi
stilistici da farci ritenere che sia stata realizzata a Palermo o nel
palermitano.
Anche esternamente, nel corso dei secoli, la costruzione beccadelliana,
è stata lesa nella sua originaria armonia. Si ricorda la sovrapposizione
delle lesene neoclassiche del 1875 sul prospetto principale e il
necessario restauro del 1991 quando tutto l'esterno della chiesa è stato
rivestito da un intonaco bianco che non armonizza con il carattere
cinquecentesco della costruzione.
Per concludere resta da dire che la chiesa, internamente, ha bisogno di
un accurato controllo di tutte le sue varie parti. Ultimamente, nel
settembre del 1994, si è staccato uno dei beccatelli del cornicione.
Di una restauro hanno bisogno anche gli stucchi in parte danneggiati
dalla infiltrazione di acqua piovana e dall'usura del tempo, molti
particolari non esistono più ed è necessario rifarli. E' da quarant'anni
che non si sono effettuati interventi, l'ultimo restauro risale agli
inizi degli anni sessanta per interessamento di Mons.Raineri che a sue
spese ha fatto restaurare gli stucchi della volta del transetto
sinistro.
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