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Verso la fine del XVI secolo, sotto la
guida di Vincenzo Beccadelli, figlio e successore di Gilberto e secondo
Marchese di Marineo, viene sfruttato anche il picco roccioso a Nord del
paese per la realizzazione del Nuovo Convento e Santuario della Madonna
del Daino o della Pietà che doveva ospitare i frati francescani del
romitorio medievale di Scanzano.
Non si conosce l'anno in cui iniziarono i lavori, si conosce invece
quello in cui i frati vi si trasferirono. Siamo nel 1597, a pochi
decenni dalle disposizioni di Papa Giulio III che stabiliva il
trasferimento degli ordini religiosi dalle campagne nei centri abitati.
Così, oltre agli Olivetani chiamati dal Barone Francesco Beccadelli nel
1556 e ai sacerdoti secolari chiamati dal figlio, Marchese Gilberto, nel
1573, anche i frati francescani del piccolo romitorio a pochi chilometri
da Marineo, si stabilirono nel nuovo centro abitato.
Il convento costruito alla fine del XVI secolo, non era come quello
attuale in quanto lavori di ampliamento, modifiche e restauri
continuarono fino a tutta la prima metà del novecento.
Della fine del cinquecento è la chiesa con le due cappelle, gli altari
laterali, una parte dell'attuale convento e precisamente l'ala adiacente
alla chiesa con il campanile e il piazzale antistante la chiesa
realizzato su quattro arcate a tutto sesto sulla roccia. Le altre tre
ali del convento, ad una elevazione, attorno al cortile centrale a forma
rettangolare, furono costruite nel secolo successivo e nel settecento.
Parte degli ambienti del lato nord-est e la terrazza del lato che guarda
l'Eleutero, furono aggiunti alla fine della prima metà del novecento per
interessamento di Padre G.Tuzzolino.
I tre altari originali della parete di fondo della chiesa sono stati
sostituiti con quelli attuali, nel 1751, periodo in cui sono stati
applicati anche, sul pavimento ai piedi dell'altare principale, i marmi
mischi con stemma vescovile e una lapide con epigrafe ormai
indecifrabile. Tra la seconda metà del settecento e la prima metà
dell'ottocento, sono state sistemate le tombe gentilizie in tutto il
pavimento della chiesa.
La seconda metà dell'ottocento è stato il periodo nero per il convento:
allontanati i monaci nel 1866, fu confiscato per essere usato come
carcere; divenne rifugio per la gente sfollata durante l'ultima guerra
e, infine, abbandonato perché in rovina. La chiesa, rimasta chiusa,
venne riattivata agli inizi del novecento dal parroco Silvestre Inglima,
mentre il convento riattivato dal francescano di Marineo padre Giuseppe
Tuzzolino che dopo l'ultima guerra iniziò l'opera di restauro e di
rifacimento. Il ritorno dei frati avvenne nel 1946 e fino a poco tempo
fa, il convento, è stato seminario francescano per i novizi. Oggi ospita
solo tre frati per il servizio pastorale.
Ottima è la posizione del Santuario: caratteristico è il picco roccioso
su cui esso si eleva, lo si può ammirare da tutto il paese e dintorni.
Dalla terrazza centrale si può godere di un vasto panorama a 360 gradi
di tutto il circondario: un suggestivo scorcio della rocca, tutto il
paese, tutta la valle dell'Eleutero e, nelle giornate limpide, anche
alcune isole delle Eolie.
Internamente, attorno al cortile si trovano saloni, dormitori,
refettorio, cucina e una cappella privata. Nella chiesa aperta al
pubblico, sono conservate parecchie opere importanti dal punto di vista
storico-artistico; molte di esse sono più antiche dell'attuale paese e
del convento perchè furono portate, come ricorda Padre G.Calderone,
dagli stessi frati dal luogo di provenienza.
Dalla via S.Francesco si arriva al Santuario per mezzo di una breve
strada irta e tortuosa che termina con una scalinata in cima alla quale
si trova il piazzale-belvedere dove si affaccia la chiesa. Alla sinistra
del prospetto si trova una statua di S.Francesco in vetro resina
collocata da recente e un pannello a rilievo in ceramica dove è
raffigurata la Madonna del Daino. La ceramica è stata realizzata nel
1969 dal ceramista-scultore di Caltagirone Giuseppe Mariscalco per
interessamento di Padre Giuseppe Tuzzolino. Dallo stesso Padre
Francescano, sotto la ceramica sempre sulla stessa parete, è stato fatto
collocare uno stemma in marmo di Carrara, ritrovato nel convento,
appartenente forse ad una famiglia marinese del settecento.
Il semplice portale tardo rinascimentale del prospetto principale della
CHIESA, è formato da due esili lesene terminanti con volute e un
cornicione sul quale, tra semplici festoni floreali, troviamo la scritta
"S.Maria de Dayna Dicatum". L'attuale porta in legno con figure di Santi
intagliati dell'ingresso, è stata realizzata, agli inizi del novecento,
dal marinese Realmuto Francesco che con i figli Nunzio e Ferdinando,
abili falegnami, operarono a Marineo per tutta la prima metà del
novecento. Al disopra del portale si trova una finestra circolare, unica
sorgente di luce per la navata interna. La facciata si conclude a
capanna.
Nel prospetto laterale della chiesa si può vedere un grande stemma con
il simbolo dei francescani: le braccia di Cristo e di S.Francesco
incrociate. Lo stemma fu fatto collocare da Padre G.Tuzzolino nel 1949
(assieme ad un altro stemma francescano non più esistente) durante i
lavori di restauro del prospetto.
La chiesa, internamente, misura m 15,50x9, ha una pianta quadrangolare e
una copertura a botte scemata con teste di padiglione. Nonostante le
modifiche subite, l'ambiente rispecchia ancora l'atmosfera
rinascimentale delle chiese-aule adatte alla conversazione, realizzate
dai Gesuiti nel XVI secolo durante la Controriforma.
Sopra l'ingresso un loggiato in legno, la cui ringhiera sagomata, è
stata di recente sostituita con una in profilati in ferro. Le pareti
laterali della chiesa sono articolate da semplici lesene doriche e da
due cappelle, ancora originari, corredate da altari, del tardo
rinascimento, in marmi policromi con decorazioni a rilievo e incisi. Nel
1981, i detti altari, sono stati ridimensionati restringendo la mensa e
quindi spostando più indietro i paliotti. A coronamento della navata si
trova il lineare cornicione su cui poggia la volta.
La parete di fondo è il lato più ricco e movimentato della chiesa. Vi si
aprono tre profonde cappelle intercomunicanti delle quali la più grande
è quella centrale che ha la volta a botte a tutto sesto e ospita
l'altare principale. Le due cappelle laterali, prima degli ultimi lavori
di recupero del 1981, erano poco profonde, non comunicanti con quella
centrale e come detto sopra, corredate dagli altari del 1751 in marmi
policromi che attualmente troviamo nelle pareti di fondo delle stesse
cappelle. Ospitavano: quella di sinistra la statua dell'Immacolata e
quella di destra la tela dell'Annunciazione che si trova nella stessa
cappella. A quanto pare, la modifica del 1981, ha ridato alle due
cappelle laterali della parete di fondo, l'originaria ampiezza.
La tela ad olio di grandi dimensioni della ANNUNCIAZIONE ospitata nella
cappella di destra, porta la data 1784 e la firma del palermitano
Tommaso Pollaci scolaro di Vito D'Anna.
Non è una delle opere più famose, ma neanche delle più scadenti
dell'artista che l'ha realizzata all'età di trentasei anni quando
risente ancora dell'influenza del maestro soprattutto nei colori, ma si
nota (anche dalle altre opere di questo periodo) che il Pollaci ha già
superato la fase iniziale e comincia a delineare quello che sarà il suo
vero stile.
Le mani paffute e i visi gentili, raffinati e delicati delle figure
dell'angelo e della Vergine, sono alcune delle novità che caratterizzano
la sua produzione di questo momento che è il più noto e il più proficui
del periodo palermitano del Pollaci. Infatti anche con le altre opere
realizzate attorno al 1784 nelle varie chiese di Termini Imerese, il
pittore, puntualizza alcuni aspetti della sua maniera.
Semplice è la composizione della tela in questione che si sviluppa,
essenzialmente, lungo la diagonale sinistra-destra-alto-basso. In primo
piano è rappresentata la Vergine genuflessa su un inginocchiatoio
sorpresa dall'annuncio nel momento della meditazione. L'angelo, sospeso,
sta a sinistra ed è rappresentato nel momento in cui pronuncia la frase
"ti saluto piena di grazie il Signore è con te ...", nella mano destra
ha un giglio e con la sinistra addita lo Spirito Santo simboleggiato
dalla colomba che è rappresentata in alto tra putti alati. Dalla colomba
parte un fascio di luce che investe la Vergine.
Oltre all'autore e all'anno di esecuzione, non abbiamo altre notizie su
questa tela, non sappiamo se essa sia stata realizzata per i monaci di
questo Convento o se proviene da altro luogo francescano.
Nella cappella di centro si trova una tempera su tavola del XV secolo
della MADONNA DEL DAINO O DELLA PIETA', portata dai frati dal monastero
di Scanzano, quando alla fine del XVI secolo si trasferirono a Marineo.
Non si conosce l'autore, ma secondo le opinioni degli esperti, il
dipinto è una produzione di Scuola Egeo-Cretese del XV secolo, quindi di
origine orientale.
Non sappiamo come la tavola si trovava nel Monastero di Scanzano, può
essere arrivata da uno dei paesi albanesi dei dintorni di Marineo, ma è
più probabile che sia stata acquistata, nel XV secolo, dagli stessi
frati del monastero, quando in tutta l'Italia si commerciavano le tanto
apprezzate icòne orientali provenienti direttamente dall'oriente.
Il titolo "Madonna del Daino o della Pietà", è legato alla leggenda
ambientata nel periodo bizantino perché in tale periodo si è sempre
ritenuto che fosse stato realizzato il dipinto. E' solo da qualche
decennio, l'attribuzione alla Scuola Egeo-Cretese.
E' da tenere presente che lo stile con cui furono realizzate queste
opere, ebbe origine nel VI secolo durante l'impero Bizantino, stile che
si manifestò per tutto il medioevo, si diffuse in tutto l'Oriente e poi
in Occidente con la variante di qualche sfumatura.
Per meglio capire questo genere di pittura, è importante ricordare che i
Bizantini erano un popolo molto religioso e il loro fine in pittura non
era quello di rappresentare le cose terrene, ma il mondo e le immagini
dell'aldilà. Secondo i principi cristiani, l'uomo dell'aldilà non è
identico a quello terreno, ma formato da puro spirito, senza peso e
senza volume. Tale concezione è ciò che emerge nei dipinti bizantini,
immagini piatte, senza volume e che non occupano spazio. Anche lo sfondo
oro è legato al principio che l'uomo non sa e non può sapere niente
dell'ambiente dell'aldilà, perché non possiede nessun riferimento
tangibile, pertanto i bizantini hanno risolto il problema impostando le
immagini in uno sfondo oro che simboleggia l'immensità del Paradiso.
Per la Madonna col Bambino, predominarono, soprattutto, due tipi di
rappresentazioni: "Eleousa" (come quella della Madonna della tenerezza
della Matrice) dove è messo in evidenza la maternità e l'affetto tra
madre e figlio e "Hodigitria" dove le figure si presentano con un
atteggiamento di prestigio da cui emerge la regalità e l'autorità dei
personaggi. La Madonna presenta il Salvatore colui che è la Via, la
Verità e la Vita e porta le stelle sulle spalle e sulla fronte segno
della verginità prima, durante e dopo il parto. L'impostazione è
statica, ieratica e con una rigida posizione frontale e assenza di
prospettiva.
A quest'ultimo tipo di rappresentazione fa parte l'icona della Madonna
del Daino anche se il dipinto, attualmente, non presenta tutte le
caratteristiche elencate perché nel corso dei secoli, la tavola, è stata
sottoposta a vari rifacimenti (alcuni dei quali piuttosto pesanti)
realizzati in occidente secondo lo stile del tempo e del luogo in cui
furono effettuati e la parte originaria rimasta è limitata e
circoscritta soprattutto al panneggio del Bambino.
La tavola, di piccole dimensioni, rappresenta la Madonna nella posizione
di tre quarti con il "Maphorion" (rifatto per cui non presenta più le
stelle) sulla testa e sulle spalle ed appuntato davanti sull'abito
(originario) a girocollo bordato da una decorazione in oro.
Il braccio sinistro della Madonna, trattiene il Bambino che è
rappresentato seduto, vestito da adulto con tunica e mantello e con il
volto serio che esprime la sapienza divina, la mano destra è alzata
nell'atto di benedire indicando con pollice, indice e medio, le tre
persone della SS.Trinità, la mano sinistra, sostiene una sfera
sormontata da una piccola croce.
Diversi sono i panneggi delle due figure, proprio perché diversi sono
gli stili e i periodi in cui furono realizzati: originario quello del
Bambino con caratteristiche della scuola Egeo-Cretese; più recente,
frutto di un restauro eseguito in un periodo non facilmente databile,
quello della Madonna dove marcato è il senso plastico che rivela un
timbro prettamente occidentale e contrasta con la parte originaria.
Anche i volti delle due figure, appaiono rimaneggiati.
Nel 1946, in occasione dell'ultimo restauro, il dipinto è stato
racchiuso in una cornice d'argento cesellata, e nel 1958 sono state
aggiunte le aureole e le corone.
Sotto il dipinto della Madonna del Daino, si trova un rilievo su marmo
che raffigura il daino ricordato nella leggenda ambientata nel
territorio di Scanzano dove i confrati della Congregazione di G.M.G. nel
1733 hanno costruito l'attuale "Santuario della Madonna di Scanzano".
"Durante la dominazione bizantina, dal campo trincerato della fortezza
di Paropo (successivamente Al Kazan) sul Pizzo Parrino a ovest della
Montagnola, usciva un signorotto con servi e cani per la solita battuta
di caccia. Avvistato un agile daino, lo inseguono per un lungo percorso
quando ad un certo punto, il cacciatore si trova davanti ad una grotta
dentro la quale vide il daino ferito con accanto il dipinto della
Madonna col Bambino. In quel momento apparve la Vergine che gli dice di
non uccidere l'animale, ma di proteggerlo e curare le sue ferite.
Il cacciatore, commosso dalla visione e dalle parole ascoltate, dice ai
servi di recarsi al vicino centro abitato di Marineo e raccontare
l'accaduto agli abitanti, al gran Castellano e alle autorità
ecclesiastiche e di invitarli alla grotta per prelevare il dipinto della
Madonna e portarlo in un luogo sacro".
Lateralmente e al di sopra del dipinto, si trovano due gigli in legno
intagliato e dorato e una semplice raggiera con la colomba; il tutto è
racchiuso da una cornice in marmo decorata da rilievi neoclassici con in
alto il simbolo dell'ordine francescano. Tali elementi, probabilmente
sono stati applicati agli inizi del novecento quando la chiesa fu
riattivata.
Nella cappella di sinistra, sull'altare, troviamo il gruppo ligneo della
PIETA' eseguito attorno al 1570 nel Monastero di Scanzano da M.Pace di
Prizzi. In un documento dell'epoca risulta che il Pace ha realizzato
l'opera direttamente nel convento di Scanzano utilizzando legname della
zona.
Il gruppo è nominato "Santi a mmunzeddu" per l'insieme delle quattro
figure che lo compongono: la Madonna, S.Giovanni, la Maddalena e Gesù
Cristo che formano una semplice composizione rettangolare con tre figure
verticali collegate dalla quarta orizzontale di Cristo.
In tutta l'opera predomina un forte senso drammatico. La figura di
S.Giovanni che occupa la parte destra del gruppo scultoreo, è
rappresentata genuflessa su un ginocchio con il braccio destro abbassato
e il palmo della mano rivolto a chi guarda, la testa è leggermente
reclinata ad indicare senso di dolore.
La Madonna è raffigurata seduta e occupa la posizione centrale, è
inclinata sulla destra e sostiene con la mano la testa del figlio,
mentre con la sinistra ne trattiene il corpo sulle ginocchia. Lo sguardo
sgomento, è rivolto verso il volto del figlio.
La figura della Madonna attira maggiormente l'attenzione perché maggiori
sono le sue dimensioni rispetto a quelle delle altre figure del gruppo,
perché occupa la posizione centrale, e quindi predomina nella
composizione, e perché esercita il ruolo più importante.
Con l'atteggiamento, la posizione e la fisionomia, la figura della
Madonna, partecipa in modo determinante al pathos generale di tutto il
gruppo.
Sulla destra in una posizione quasi isolata si trova, genuflessa sul
ginocchio destro, la Maddalena che è immersa in una profonda
contemplazione delle piaghe degli arti inferiori di Cristo.
Nel Cristo l'idea della morte è evidenziata dal corpo rigido e senza
tono muscolare e dalla testa afflosciata con la bocca aperta. La
posizione del braccio in primo piano, e soprattutto dalle dita, rivela
un senso di abbandono.
Le altre tre figure sono coperte da doppio panneggio costituito da una
veste ricoperta da un mantello. Il movimento dei panneggi contribuisce,
anche se in modo non rilevante, ad esaltare il senso drammatico.
Il gruppo scultoreo, negli ultimi cinquant'anni ha subìto due sommari
restauri, uno nel 1981 e uno attorno al 1946. Da testimonianze orali
risulta che prima di quest'ultima data la scultura era, in parte,
ricoperta con sottili lamine d'oro.
La pietà del convento non è un'opera singolare, un'altra simile, in
terracotta, si trova a Caccamo, risale al secolo precedente rispetto
alla Pietà di Marineo ed è stata realizzata da un ignoto autore. Le due
opere, oltre al tema, hanno in comune lo stesso schema compositivo e
tranne qualche particolare, sono quasi identiche.
Altre Pietà esistono a Palermo e in tutta la Sicilia, contemporanee e
posteriori a questa di Marineo, e anche se con essa non hanno lo stesso
schema compositivo, hanno in comune molti elementi: lo stesso numero di
personaggi, il movimento delle chiome, l'accentuato timbro patetico, la
centralità della figura di Cristo, l'atteggiamento delle figure... E' da
tenere presente che buona parte di questi gruppi scultorei sono opere
derivati da modelli e da idee continentali.
Nella parete di destra, dopo la cappella, in due nicchie realizzate nel
1981 durante i lavori di restauro della chiesa, sono collocate tre
statue in legno: l'IMMACOLATA e S.GIUSEPPE CON GESU' FANCIULLO.
Di queste tre opere non conosciamo nè l'anno di esecuzione, nè l'autore,
nè il committente. Sappiamo solo che furono attribuite da alcuni
studiosi alla scuola dei Bagnasco e da altri alla scuola dei
Quattrocchi. Le opere sono state realizzate verso la fine del XVIII e
gli inizi del XIX secolo.
Nel 1990, in occasione dell'ultimo restauro della statua
dell'Immacolata, eseguito da Rosolino La Mattina per interessamento
della congregazione che ha curato la raccolta dei fondi, è stato
effettuato, da Felice Dell'Utri, un interessante studio sull'opera e
sugli scultori e scuole operanti nel XVIII secolo nell'ambito del
palermitano. Neanche in questa occasione si è arrivati a stabilire con
certezza a quale autore o a quale scuola attribuire le tre statue.
Comunque si può dire che nelle sculture esistono molti elementi che
lasciano intuire che ci troviamo di fronte a delle opere eseguite nella
bottega dei Quattrocchi e, forse, da Francesco, in tempi diversi:
l'Immacolata prima e S.Giuseppe dopo qualche decennio.
Nella figura dell'Immacolata l'autore mira ad evidenziare l'eleganza e
la signorilità proprie del Settecento, creando una scultura che esprime,
anche se in una forma non molto accentuata, il fasto dell'epoca. Il
movimento del panneggio, il roseo volto incorniciato dalla nera chioma e
le paffute mani, danno l'immagine di una signorile dama della
aristocrazia palermitana dell'epoca.
Esteticamente ci troviamo di fronte a una bella immagine della Madonna,
bellezza voluta e saputa interpretare dall'autore anche perché era
proprio questo il fine che egli si era proposto nel realizzare la
scultura: dare alla figura della Madre di Dio, la bellezza estetica più
rappresentativa del tempo.
Interessante è il movimento frastagliato e irregolare dei panneggi, con
andatura pressoché verticali ed obliqui, articolati in modo da ottenere
volumi e contrasti chiaroscurali armonici ed equilibrati.
La dinamica composizione a zig zag, ravvivata da una forte tensione
ascensionale, è formata dalla immagine della Madonna sopra il globo
ricoperto da una nube dalla quale fuoriescono tre testine di cherubini
alati (simbolo della Trinità) e la luna crescente con le punte rivolte
in basso (simbolo della castità). Due delle teste di cherubini, emergono
dal lato concavo per equilibrare un lembo di panneggio che emerge dal
lato opposto.
Le mani che stanno sovrapposte sul cuore, simboleggiano il messaggio
d'amore verso l'umanità.
S.Giuseppe e Gesù Fanciullo presentano caratteristiche comuni a quelle
della statua della Immacolata: il lembo sporgente del panneggio che sta
sotto il braccio sinistro dell'Immacolata, il lembo curvo del mantello
sul bacino di S.Giuseppe e il movimento delle grinze della tunichetta di
Gesù Fanciullo, presentano tutti lo stesso tipo di articolazione.
Le due sculture si presentano meno pregevoli di quella della Madonna, a
quanto pare sono state realizzate più tardi quando il neoclassicismo si
era maggiormente affermato.
Anche la figura del Santo, come quella della Madonna, si eleva con una
leggera curva, è bene armonizzata con quella di Gesù Fanciullo che si
trova in basso a sinistra e insieme formano una composizione di tipo
triangolare divisa in due parti dalla linea immaginaria che segue
l'andamento dalle braccia aperte di entrambe le figure.
Oltre all'Annunciazione del Pollaci, la chiesa è arricchita anche da
altre tre grandi pitture ad olio del XVIII secolo di autori ignoti. La
prima si trova nella cappella di destra e raffigura la CROCEFISSIONE con
in basso cinque figure tra cui quelle di Maria, della Maddalena e di
S.Giovanni.
La seconda tela si trova nella cappella di sinistra e vi sono
raffigurati al centro, S.GIUSEPPE CON GESU'BAMBINO e lateralmente,
S.Francesco e S.Antonino. La terza tela si trova nella stessa parete,
dopo la cappella e presenta le immagini di S.ANNA, LA MADONNA BAMBINA E
S.GIOACCHINO. Tela restaurata nel 2001 ed eseguita da un nipote di Vito
D’Anna, Vito Coppolino che ha operato nella seconda metà del settecento.
Tutte tre le tele, ma soprattutto la prima e la terza, presentano
identiche caratteristiche chiaroscurali e identici sono anche i
movimenti dei panneggi con lo stesso taglio di grinze. Tela simile a
queste è quella dell'Addolorata della chiesa del Collegio, non è escluso
che queste opere sono dello stesso autore religioso che preferisce
rimanere ignoto. Sempre nella stessa categoria di pittori è da ricercare
l'autore di un'altra grande tela del Settecento che è posta davanti la
cappella dove si trova la statua dell'Immacolata. Si tratta di una copia
dell'Immacolata di Vito D'Anna, realizzata nella cappella di fondo della
navata di sinistra della chiesa di S.Francesco di Palermo, pittura
rivestita in mosaico nel 1771-72.
Inoltre nella parete dell'ingresso della chiesa, fino agli anni ottanta
del novecento si trovavano altre due tele del settecento, da all'ora se
ne sono perdute le tracce. Al loro posto, oggi, si trovano due tele
della fine dell'ottocento, di medie dimensioni, raffigurano La Buona e
Cattiva Morte, delle quali sconosciamo autore e anno di esecuzione.
Nell'angolo sinistro accanto all'ingresso della chiesa, abbiamo la
statua in legno dipinto di S.VITO della prima metà del XVI secolo
di autore ignoto.
Questa è un'opera che i frati del monastero di Scanzano avevano
trasferito dalla vicina chiesetta, ormai in rovina, dedicata a S.Vito,
nel loro monastero e di qua al convento francescano.
E' la scultura in legno più antica del paese ed è una opera rara, del
nostro ambiente, per fattura e periodo.
Il Santo tiene con la mano sinistra il Vangelo e la palma del martirio,
indossa vestiti d'epoca romana (periodo in cui visse) a disegni e colori
vivaci che esalta la giovanile figura del Santo.
S.Vito fu uno dei primi cristiani che si dedicò alla conversione dei
pagani. Dall'espressione del volto e dalla posizione del braccio destro
che reggeva nella mano un Crocefisso in legno dipinto ancora esistente,
ma non più applicato, si deduce che il Santo è stato rappresentato nel
momento in cui annuncia il Vangelo.
L'autore ha rappresentato S.Vito nella tipica posizione frontale, dando
una certa staticità alla figura che è armonizzata dalle decorazioni
dipinte e a rilievo e dagli elementi ritmici delle grinze delle maniche
e del gonnellino. Questi ultimi elementi disposti verticalmente, nella
composizione, sono contrapposti alle pieghe oblique del mantello che
scende dalla spalla sinistra copre il braccio, gira attorno al bacino e
termina sulla sinistra della figura con un lembo cadente che serve per
controbilanciare il braccio destro sospeso ad angolo retto. Le gambe in
posizione di riposo, sono coperte da calzamaglia e calzettoni.
La statua fino alla prima metà del ‘900 non aveva subito restauro e si
trovava in uno stato di degrado da essere ritenuta non utilizzabile e
quindi non più esposta in chiesa in quanto rovinata dal tarlo in varie
parti. Fu agli inizi degli anni del 1950 che il Signor Vitali Domenico
di Marineo l’ha recuperata sottoponendola ad un primo restauro che ha
evitato la totale distruzione della scultura. Mancavano soprattutto
parte del panneggio del mantello che ricade sul bacino del santo,
panneggio che è stato ricostruito e dipinto imitando quelle parti di
decorazioni pittoriche ancora esistenti. Nel 2001 la statua ha subito un
secondo restauro che ha evidenziato la parte ricostruita in precedenza.
La piccola CROCE DIPINTA con l'immagine di Cristo prima accennata, fino
a pochi decenni fa completava il decoro della statua di S.Vito. E'
successiva alla realizzazione della scultura e risulta dipinta alla fine
del cinquecento da autore ignoto.
In precedenza, la croce dalle dimensioni di cm 40x30 circa con le
estremità trilobate, si trovava collocata nella mano destra della statua
di S.Vito. Non è stata mai restaurata e si trova in pessime condizioni:
del colore steso, in origine, sulla superficie del legno esistono solo
dei frammenti; nei capicroci non vi sono figure dipinte e i lobi sono
rovinati dal tarlo. Se non si interviene tempestivamente per salvare
quello che resta, fra pochi anni, resterà solo un pezzo di legno
tarlato.
L'usanza di realizzare la croce dipinta, risale al medioevo e si è
affermata soprattutto nell'ambiente pisano e fiorentino dove continuò
fino agli inizi del rinascimento. Dei più famosi artisti che l'hanno
dipinta si ricordano: Giunta Pisano, Cimabue e Giotto. Più tardi,
l'usanza, è arrivata anche in Sicilia dove si è protratta fino al tardo
rinascimento, furono realizzate croci di grande e piccole dimensioni e
oltre all'usanza arrivò anche la maniera di dipingere che si è fusa con
quella spagnola, già esistente, e con quella dei vari artisti locali e
furono realizzate croci dipinte con uno stile un po diverso da quello
del nord.
La croce di piccole dimensioni del convento, fu una delle ultime
realizzate nella Sicilia occidentale dove ne esistono una varietà:
grandi e piccole in legno dipinte nel recto e nel verso, e in metallo a
rilievo usate anche come croci astili. Di quelle dipinte di piccole
dimensioni e dello stesso periodo di questa di Marineo, ce ne sono
poche, per cui la croce del convento, come la statua di S.Vito, si
presenta come un elemento piuttosto raro del nostro ambiente.
Nella croce del convento, la figura di Cristo è semplice, eretta e con
il volto che possiamo definire sereno. E' diversa da quelle dei
crocifissi del periodo precedente, come nella croce dipinta di Alcamo
della Chiesa del Rosario del XV secolo, o come le figure di tante altre
croci dipinte dello stesso secolo che si trovano nelle varie chiese di
Palermo, nelle quali l'artista mirava soprattutto a mettere in evidenza
l'aspetto drammatico con la figura di Cristo in un atteggiamento di
dolore, dal corpo contorto e movimentato e dal volto sofferente.
La scultura in marmo più antica della chiesa e di Marineo, è
un'ACQUASANTIERA che proviene dalla chiesa del Monastero di Scanzano,
oggi si trova tra la cappella di destra e quella di centro della parete
di fondo della chiesa.
Si evince dalla lettura della stessa, che l'opera fu realizzata nella
seconda metà del XIV secolo e presenta un carattere prettamente
meridionale.
Scultura unica per il nostro ambiente e si presenta come un'opera d'arte
di un certo livello: potente per la forza magnetica che sprigiona,
interessante dal punto di vista estetico e ammirevole per la minuziosità
decorativa che suscita curiosità ed interesse.
Semplice la composizione formata da una base quadrata, da un fusto e da
una vasca a sezione ottagonale. Ogni lato della base presenta tre
settori rettangolari, ognuno dei quali contiene un motivo floreale
formato da quattro foglie simmetriche stilizzate. Sulla base quadrata
poggia quella ottagonale del fusto formata da un allargamento convesso
(toro) in basso, una rientranza concava a centro (trochilo) e un secondo
allargamento convesso, più ridotto del precedente, nella parte
superiore.
Il fusto, a sezione ottagonale, presenta, in ogni lato, una fascia
verticale che contiene tre riquadri rettangolari più uno mozzato nella
parte superiore. I riquadri racchiudono motivi floreali di due tipi, uno
è simile a quello della base, l'altro presenta dei ramoscelli con foglie
stilizzate disposte a spina di pesce.
Strano risulta il fatto che la decorazione, nella parte alta, ad un
certo punto viene troncata; i casi possono essere due: o che il fusto fu
tagliato per abbassare la vasca, oppure che sia un elemento adattato
alla scultura. Quest'ultima potrebbe essere l'ipotesi più valida, in
quanto il fusto risulta realizzato con un tipo di marmo diverso da
quello della base e da quello della vasca.
La base della vasca a forma di calice ottagonale presenta, su facce
alterne, quattro scudi triangolari con bordi incisi e negli spigoli,
ramoscelli con foglie stilizzate disposte a spina di pesce.
Sui lati della vasca a forma di prisma, si trovano otto immagini a
rilievo che hanno fatto discutere gli studiosi. Secondo alcuni, esse
sono immagini di Santi tra cui quella di San Francesco che occupa la
parte centrale; secondo altri studiosi, invece, sono cinque immagini
allegoriche e tre di Santi: S.Benedetto e non S.Francesco, tra
S.Scolastica e S.Teresa.
A quanto pare la verità si trova nelle due ipotesi messe assieme. Di
figure di Santi ne abbiamo soltanto una: S.Francesco o S.Benedetto
perché una è la figura sormontata dall'aureola e precisamente quella
centrale. Le altre sette figure sono invece allegorie e solo sotto di
due di esse si riesce ancora a leggere il nome per intero: Sapienza e
Remissio .
Tutta l'opera e soprattutto le figure sono logorate dall'usura e dal
tempo, tuttavia si riesce ancora ad individuare la tecnica scultorea
praticata nel periodo bizantino, cioè l'uso del trapano per i
particolari più minuziosi. La tendenza bizantina è evidente anche nella
figura della Sapienza e soprattutto in quella del Santo in posizione
statica ieratica e senza movimento. Mentre le altre figure, con un certo
movimento, rivelano il momento di transizione tra la maniera bizantina e
quella successiva.
Dallo stato di conservazione attuale si evince che l'opera ha dovuto
superare nel passato periodi difficili, ne sono testimoni le ferite e i
graffi.
Restano ancora i due CONFESSIONILI in legno scuro che presentano due
esempi di intaglio esistenti a Marineo.
Sono stati realizzati appositamente per la chiesa del convento,
probabilmente agli inizi del novecento quando la chiesa fu riattivata e
presentano in alto al centro, due pannelli ad intaglio con uguali
elementi decorativi: le braccia di Cristo e di S.Francesco incrociate,
sono circondate da motivi floreali che richiamano elementi Liberty e
Neoclassici.
La volta a botte scemata, con teste di padiglione dipinta con colori a
tempera, è suddivisa in tre file di riquadri di forma quadrangolare e
rettangolare separate da fasce ortogonali decorate con motivi floreali
di tipo classico. I riquadri delle file laterali racchiudono simboli
francescani, cristologici e mariani, mentre i tre riquadri della fila
centrale racchiudono: quello vicino all'ingresso, un dipinto monocromo
che illustra la tempesta sedata; quello di centro, che è il più grande,
l'Assunzione con i Santi Francesco e Antonino, e quello di fondo, un
secondo dipinto monocromo che illustra la parabola del Buon Pastore.
Tutta la decorazione della volta, presenta un forte senso plastico
esaltato dagli accentuati effetti chiaroscurali. L'opera è stata
eseguita nel 1920 da una cooperativa di pittori palermitani per
interessamento del parroco Silvestre Inglima, ed è stata restaurata
durante gli ultimi lavori del 1981 dal pittore Petruzzella che ha
decorato anche la volta della cappella centrale della parete di fondo.
In questi venti anni, dall'ultimo restauro, l'umidità e le piccole
infiltrazioni di acqua piovana dal tetto, hanno causato, nella volta,
diverse chiazze di colore mancante, delle quali qualcuna piuttosto
vasta. Necessita di un secondo restauro.
Dell'argenteria del Convento ricordiamo il più antico OSTENSORIO di
quelli che oggi si trovano a Marineo, risulta realizzato a Palermo prima
del 1715 in quanto presenta il marchio con l'aquila a volo basso. E' in
argento sbalzato, cesellato e fuso e porta la sigla DR dell'argentiere
Didaco Russo che, secondo gli ultimi studi, risulta documentato nel
1704, ma a quanto pare ha cominciato ad operare prima almeno un
trentennio, perché l'ostensorio porta anche il marchio GMRC che, in base
alle ultime ricerche nel campo dell'argenteria palermitana, sarebbe
quello del console Giuseppe Di Marchisi in carica nel 1669. Quindi
secondo questa ricostruzione, l'ostensorio del convento risalirebbe a
quest'ultima data.
La decorazione, formata da elementi fitomorfi e teste di cherubini
rappresentata per lo più nella base, rientra nello stile del XVII
secolo. La base è formata da tre cerchi sovrapposti; è sormontata da un
elemento conico su cui si eleva il fusto formato da tre anelli crescenti
più uno (delle stesse dimensioni del primo) su cui poggia un globo con
la fascia zodiacale. Una statuina in argento fuso dell'Immacolata, è
l'elemento di congiunzione tra il fusto e la teca che è racchiusa da una
corona circolare con decorazioni simili a quelli della base. La raggiera
è formata da puntali e fiamme in argento dorato che stanno in primo
piano e da raggi asimmetrici che stanno in secondo piano. L'ostensorio
si conclude con una piccola croce greca in argento fuso.
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